La zona circostante la città di Handlová nella regione di Trenčín in Slovacchia, è nota per avere la più alta qualità di carbone nero di tutta la nazione.

Nel 1990 l'estrazione mineraria in questa regione viene fermata dallo Stato per motivi economici ma solo tre anni dopo questa decisione viene riconsiderata e, dopo lunghi lavori preparatori, le attività vengono riprese.

La piena operatività torna ad esserci nel 2006 con una produzione qualitativamente e quantitativamente notevole che però ha un grosso handicap. L'elevata qualità del carbone è infatti associata a una maggiore produzione di metano che rende quella di Handlová una delle più rischiose di tutta la Slovacchia.

Per essere chiari, il materiale estratto da qui è anche dieci volte più giovane del carbone nero duro nella regione di Ostrava, il che significa che è però è anche considerevolmente meno stabile. 

Il 17 giugno 2009 terminata l'attività mineraria in un pozzo, gli operai chiudono gradualmente alcuni corridoi per impedire all'aria di entrare nel segmento rimasto, che potrebbe iniziare a formare nebbie di gas e successivamente a provocare un incendio.

Secondo le autorità competenti, nella miniera si sono già verificati piccoli roghi in passato e le misure sono adottate per evitare che ne accadano altri. Nonostante questo la mattina del 10 agosto 2009, intorno alle 8:30, scoppia un incendio proprio nel pozzo che era escluso dalle operazioni di produzione dal 17 giugno. 

Inizialmente una squadra di undici minatori del servizio di soccorso minerario viene inviata per estinguere l'incendio. Il loro compito è ridurre la temperatura nella miniera e la concentrazione di ossigeno che aiuta la combustione aumentando il pericolo generale, raffreddando tutto con l'azoto. Insieme a loro, in una sezione a 330 metri di profondità e a circa 500 metri dal pozzo di risalita, ci sono altri nove minatori d'appoggio e altri nove sono nel corridoio fuori dal luogo dell'incendio.

Verso le 9:30 ora locale, i gas infiammabili che si sono accumulati secondariamente a causa dell'incendio si attivano. L'esplosione che ne deriva distrugge la miniera e uccide all'istante o entro pochi minuti la prima squadra e quella nella stessa sezione, risparmiando solo i 9 minatori d'appoggio che rimangono feriti e possono essere estratti vivi. L'esplosione è talmente forte che raggiunge i pozzi d'aria situati a diverse centinaia di metri di distanza, facendo crollare gran parte della rete di tunnel che compongono la miniera.

Le autorità non escludono che qualcuno possa essersi salvato dall'esplosione ma purtroppo le condizioni createsi nel sottosuolo - temperatura elevata, scarsità di ossigeno ed elevata concentrazione di biossido di carbonio - non sono tali da consentire la sopravvivenza di alcun essere umano.

Partite subito le operazioni di soccorso, sei corpi vengono trovati a circa 65 metri dal presunto epicentro dell'esplosione. Anche 14 ore dopo l'esplosione le condizioni nella zona sono incompatibili con la vita con livelli di biossido di carbonio così alti da non poter essere misurati.

Durante le successive 24 ore vengono recuperati altri tre corpi. Entro il 12 agosto, i soccorritori recuperano i corpi di 16 dei 20 deceduti e il giorno dopo, gli ultimi quattro cadaveri vengono tirati fuori dai soccorritori che per farlo sfidano temperature di 50 gradi lavorando a visibilità prossima allo zero.

La relazione redatta dall’Ufficio distrettuale minerario di Prievidza stabilisce che il disastro minerario non è dovuto a fattori umani, né a carenze nell’organizzazione. Esso sarebbe invece stato causato da fattori imprevedibili che fanno parte del rischio inerente all’attività mineraria.