Una tragedia che ha provocato tanta rabbia e dolore. Un fatto che ancora adesso, a distanza di anni, continua a far indignare per le circostanze in cui si è sviluppato.

Parliamo dell'incidente alla funivia del Cermis, che costò la vita a 20 innocenti il primo pomeriggio del 3 febbraio 1998. Il seguito dell'incidente venne accompagnato da una lunga serie di tensioni sull'asse Italia – Stati Uniti, ancora oggi mai completamente sopita. E a ben ragione, visto quanto accade quel pomeriggio.

Una Val di Fiemme ammantata di neve ed una funivia piena di persone a godersi i panorami incantati sono i soggetti principali di questo racconto. Niente lascia presagire il dramma fino all'apparire a bassissima quota di un aereo militare statunitense, guidato dal capitano Richard J. Ashby e dal copilota Joseph Schweitzer.

Il velivolo, volando ad una quota molto più basse del consentito, trancia i cavi della funivia. La cabina su cui si trovano venti persone improvvisamente perde il suo equilibrio e si schianta al suolo da un'altezza di 150 metri, dopo un volo lungo sette terribili secondi. L'impatto sul fondo della Valle non lascia scampo a tutti i 20 occupanti del mezzo. L'aereo invece, danneggiato su un'ala e sulla deriva di coda, riusce comunque a tornare alla base di Aviano (dov'era partito una mezz'oretta prima dell'impatto), con il suo equipaggio incolume.

In Val di Fiemme scatta l'allarme, e sul posto si precipitano i mezzi di soccorso che tuttavia non possono che constatare il decesso di venti innocenti: tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese. Per loro quel volo tremendo di oltre cento metri era stato fatale, senza speranza di uscirne ancora in vita.

Quanto successe non fu frutto, come spesso raccontiamo in queste pagine, di una serie di fatalità o circostanze ingovernabili, bensì di un comportamento deliberatamente contrario alle regole (ma anche del semplice buon senso) da parte dell'equipaggio americano.

Il volo a bassa quota dell'aereo a stelle e strisce non fu dovuto ad un'avaria o alle avverse condizioni del tempo ma alla necessità di realizzare un filmato acrobatico in volo, non è chiaro se per conto della Marina americana o per puro divertimento. Qualsiasi fu la natura di quel video, quell'areo si trovava ad una quota esageratamente bassa, peraltro in zona turistica con impianti di risaliti affollati di vacanzieri.

Per far luce sulla vicenda, all'inizio non chiara in molti suoi aspetti, i magistrati italiani mettono sotto sequestro il Grumman EA-6B Prowle che aveva tranciato i cavi della funivia; una fatto non secondario, visto che i responsabili statunitensi della base di Aviano non si affrettarono a fare chiarezza su quanto accaduto (per usare un eufemismo...): il loro mezzo, infatti, era già stato smontato e riparato quasi integralmente. Solo in una parte della coda vennero ritrovati resti della fune tranciata che ha scatenato la tragedia. Una dimenticanza che "incastrò" l'equipaggio e i responsabili di terra di quel volo.

Da lì parte un lungo iter processuale, che vede i due marines americani e altri due addetti al controllo di volo della base di Aviano a processo negli Stati Uniti.
Il processo però scagiona tutti nel corso degli anni: secondo quanto riporta la corte militare, le mappe di bordo a disposizione dei due piloti non segnalavano i cavi della funivia. E per il volo a quota troppo bassa? Il pilota sostiene che l'altimetro era rotto.

Nel marzo 1999 vennero alla fine tutti assolti come niente fosse accaduto. Un'assoluzione che provoca un'ondata di giustificabile indignazione in tutta Europa e soprattutto in Italia, teatro della strage e “ospitante” della base di Aviano. Un momento di tensione che riportò alla mente la strage del Moby Prince, avvenuto solo 7 anni prima: un incidente marittimo che, al netto di versioni ufficiali scarne e contraddittorie, vedrebbe secondo alcuni il coinvolgimento a vario titolo degli Stati Uniti d'America.